Giovanna, 21 anni. "In comunità ho scoperto di esistere".
Mi chiamo Giovanna e ho 21 anni. In realtà, di anni è come se ne avessi 7. Ho scoperto di “esistere” solo dopo il 24 novembre 2009. Data in cui, a 14 anni, sono stata accolta presso la comunità “Tutti a casa” di Salerno. Prima Giovanna non esisteva. Era un corpo vacante e vagante, avvolto dalle tenebre e dal silenzio. Era un individuo privo di parola, di emozioni, di sogni, di speranze, di desideri. Giovanna si percepiva come un aborto, un essere mai nato.
Solo dopo quella data ho scoperto di esistere. Ho scoperto di non essere solo un corpo pressoché inanimato, ma ho capito che all’interno di quell’involucro vi era un Essere che aspettava da anni di essere finalmente svelato. Mi sono presentata a me stessa ed ho iniziato a conoscermi attraverso i miei occhi, ma soprattutto attraverso quelli delle persone meravigliose che mi hanno accompagnata in questo lungo percorso e che mi hanno fatto da specchio al fine di comprendere e superare i miei limiti. Mi hanno aiutata a toccare con mano le diverse emozioni che attraversano l’animo umano.
Emozioni a me sconosciute, visto che fino a poco tempo prima le uniche a me familiari erano la rabbia e la tristezza. Le uniche possibili quando si vive in un’unica stanza con due sorelle maggiori disabili, un papà spesso allettato per problemi respiratori ed una mamma triste, dedita alle altre due sorelle. Un unico nucleo indifferenziato. Un marasma in cui non esisteva il senso dell’intimità. E neanche il singolo individuo.
L’aggressività era diventata la mia unica modalità di comunicazione. Aggressività che però, mal gestita, mi procurava grandi sensi di colpa. E così mi “punivo”, procurandomi lesioni sulle braccia. Anche perché, paradossalmente, il dolore fisico era l’unica cosa che mi dava la sensazione di esistere, richiamandomi alla vita e spingendomi fuori dalla sonnolenza.
Una sonnolenza alla quale nel corso dei giorni, dei mesi e degli anni ho pian piano reagito. Ma non è stato certo facile. Quando sono entrata in comunità ero chiusa, autolesionista e poco propensa alla comunicazione. Il mio silenzio veniva interrotto da momenti di rabbia ed aggressività nei confronti delle figure di riferimento della struttura o addirittura di me stessa.
In comunità ho finalmente avuto un letto tutto mio, in una camera grande condivisa solo con un’altra persona. Ho per la prima volta sperimentato quella “differenziazione” che avviene in genere a 3 anni. Ho incontrato il mondo “altro” da me ed ho iniziato un percorso di psicoterapia esterno alla comunità per esaltare la “privata” ricerca di me. Un processo di individuazione di me stessa che mi ha messa in contatto con i miei bisogni, i miei desideri ed i miei sogni di ragazza di 14 anni.
Col passare del tempo ho iniziato ad aprirmi agli altri e ad acquisire sempre maggiore serenità con me stessa, con i coetanei e con gli adulti. Ho imparato pian piano a riconoscere e gestire le emozioni in maniera costruttiva, non più distruttiva ed autopunitiva. Ho scoperto molti interessi e risorse personali che hanno scardinato l’insicurezza e la poca stima che avevo di me.
La Giovanna “scura”, che privilegiava il colore nero, ha lasciato entrare nella sua vita i colori, a partire dall’abbigliamento. Questo è stato il processo evolutivo che ho sperimentato in comunità. Una nuova casa. Ovvero una casa che ha promosso la nascita dell’individuo Giovanna.
Nel corso del tempo ho trovato anche un legame più saldo ed una nuova modalità di relazione con i miei familiari, i cui limiti ho imparato ad accettare con serenità. La mia famiglia, in realtà, non mi ha mai abbandonata: è stata sempre coinvolta nel mio percorso educativo ed ha sempre collaborato con l’équipe della comunità. Mamma veniva in comunità “solo” per me, per vedermi ed incontrarmi. È come se mi avesse ri-conosciuta per la prima volta. È come se finalmente si fosse accorta della mia esistenza. Che bella sensazione!
In comunità, dunque, ho imparato a guardare al futuro con occhi decisi e speranzosi. Mi sono messa in gioco, ci ho provato e tra mille difficoltà sono diventata ciò che sono oggi: una donna fortunata, che, grazie al reciproco impegno e fiducia da parte mia e della comunità, è riuscita a portare a “casa” molti successi e che continua a perseguire i propri sogni e desideri. Ho concluso gli studi presso un Liceo psico-socio-pedagogico e mi sono iscritta all’Università al Corso di Laurea per Educatore professionale. Il mio, quindi, non è stato un cambiamento. È stato semplicemente un “partorire” me stessa.
Alle famiglie ed ai ragazzi che si trovano a vivere la mia stessa situazione consiglio col cuore di fidarsi di coloro che lavorano nel sociale, che offrono la possibilità di cambiare un destino che sembra già segnato. Non generalizzate e non lasciatevi influenzare da racconti di esperienze negative. Non entrate nell’ottica di chi è ormai perso e si convince che niente e nessuno potrà cambiare la vostra esistenza. Quello che vi ho raccontato non è un sogno. Io ci sono riuscita e non vedo perché altre dieci, cento o mille persone non potrebbero!
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